Petizione “Sì all’aumento degli asili nido! Basta con il dumping salariale!"
1 giugno 2010, quale co-relatore
A questa petizione va riconosciuto il merito di aver sollevato due problemi molto concreti: quello dell’insufficienza dei contributi pubblici
agli Asili Nido e, di conseguenza, quello delle condizioni salariali di chi ci lavora.
Una petizione quindi più che giustificata, corredata oltretutto da 5213 firme, il che dà valore a questo diritto popolare previsto
dalla Costituzione e dalla legge sul Gran Consiglio. Un diritto di petizione del quale forse talvolta si abusa. In questo caso invece
la commissione delle petizioni ha recepito l’importanza dell’oggetto e vi ha dedicato parecchie sedute. Le posizioni all’interno
della commissione erano ovviamente diversificate e anche i relatori non erano concordi su tutti i dettagli, ma si è voluto arrivare
a un rapporto condiviso da tutti in modo da dare un segnale forte sulla necessità di fare qualcosa per migliorare la situazione
di questo importante servizio. Questa ricerca di consenso giustifica anche il lungo periodo che è stato necessario per portare
finalmente in aula la petizione.
Una cosa è certa: del tema Nidi si tornerà a parlare presto, in seguito alla mozione già presentata e che costituisce il seguito
del rapporto, ma pure perché prima o poi occorrerà rivedere le basi legislative che regolano il settore.
La petizione ha origine in ambito sindacale (USS e VPOD) e quindi affronta il tema dal punto di vista delle lavoratrici: tanto quelle
che per lavorare devono lasciare in custodia i loro figli, quanto quelle che di questa custodia si occupano. Si chiede pertanto -
e cito dal testo - che “le famiglie con figli possano usufruire di un numero maggiore di asili nido e che queste strutture dispongano di
personale di qualità retribuito dignitosamente!” Si chiedono retribuzioni dignitose, non emolumenti da manager!
Ebbene negli asili nido, fatta eccezione dei sei cosiddetti storici che sono gli unici a beneficiare di sussidi comunali adeguati, i
salari corrisposti sono del tutto insufficienti e, mi permetto di dire, indegni della funzione.
Dalle tabelle presentate nel rapporto risalenti al 2007 (ma state certi che nel frattempo non è cambiato niente) risultano chiaramente
situazioni di salari da fame:
la metà del personale formato prende meno di 3250 fr. al mese, un quarto meno di 2550! Per il personale non formato, ma altrettanto
utile, si osserva un valore mediano di 2560 con casi al di sotto di 1800 fr. al mese.
Eppure lavorare negli asili nido è molto impegnativo e, come tutti sanno, comporta grandi responsabilità
nei confronti delle famiglie e dei bambini.
Quindi, giustamente, le direttive in merito alla formazione del personale che lavora nei nidi come pure quelle relative
alla qualità del servizio sono molto esigenti.
Di conseguenza personale deve pure aggiornarsi con continuità. E qui si rileva un’altra anomalia. Un corso, offerto dalla SUPSI,
costa 3'500 fr. per 130 ore pari a 11 ECTS. La SUPSI ragiona in modo aziendale; un corso per manager costa come quello
per un’educatrice di asilo nido, indipendentemente dal salario. Dal profilo aziendale il ragionamento può anche stare, molto meno
dal profilo politico. La SUPSI non è un’azienda come le altre, ma dovrebbe essere orientata anche al servizio pubblico.
Va detto che i Nidi, quelli più recenti in particolare, incontrano non poche difficoltà a far quadrare il bilancio per cui non si può
imputare solo ad essi l’impossibilità di concludere un contratto collettivo o almeno un contratto che riconosca salari minimi.
Per questo nel febbraio 2009 il Sindacato VPOD ha segnalato alla Commissione tripartita in materia di libera circolazione
delle persone la situazione di dumping salariale negli asili nido privati in Ticino. L’ispettorato del lavoro ha quindi ricevuto il
mandato per eseguire le verifiche nei Nidi. Il rapporto è atteso tra breve.
Ma le rivendicazioni non provengono solo dal versante sindacale: anche la Commissione consultiva per le questioni femminili,
nel novembre 2008, riteneva
necessario un potenziamento di strutture con personale qualificato e retribuzioni adeguate.
Dal canto suo la Commissione federale di coordinazione per le questioni familiari (COFF), in un rapporto del 2008, ritiene che il
discorso attorno alle strutture di accoglienza extra famigliare sia troppo centrato sui costi e meno sui benefici sociali e anche economici.
Studi internazionali stimano che una maestra d’asilo produca 9 franchi di ricchezza per ogni franco di salario ricevuto.
Sempre sul piano nazionale una petizione che ha raccolto oltre 10'000 firme chiede di destinare 5 miliardi l’anno agli asili nido.
Il Consiglio federale è di tutt’altro avviso: per il periodo 2012-2015 ha ridotto da 140 a 80 milioni il fondo per incentivare la creazione
di asili nido. Ma questo non mi meraviglia più di tanto, gli asili nido non sono grandi banche!
Eppure la Svizzera investe soltanto lo 0.2% del PIL per finanziare le strutture della piccola infanzia contro il 10% della Danimarca
e della Svezia. In un rapporto dell’UNICEF del 2008 che valuta i servizi di accoglienza per la prima infanzia, la Svizzera raccoglie
la miseria di 3 punti su 10.
In Ticino, nonostante l’apertura di nuove strutture, i posti disponibili - circa 1300 - sono ancora insufficiente e mal distribuiti
sul territorio ma le modalità di finanziamento scoraggiano nuove iniziative.
Il punto debole del finanziamento sta nel ruolo dei comuni che è definito dalla legge per le famiglie, in particolare l’art. 30.
Quindi il punto debole sta in questa legge.
I Comuni possono dedurre fino al 50% dell’importo che dovrebbero versare al cantone per l’affidamento di minorenni e
per i posti protetti. Globalmente questo sconto ammonta a tre milioni di cui i tre quarti utilizzati per varie iniziative a favore
dell’infanzia, quali famiglie diurne e anche nidi.
Si tratta quindi di un’operazione finanziariamente neutra per i Comuni che gestiscono questi importi – detti incentivi - come meglio credono,
sussidiando magari strutture estranee al loro territorio.
Ci sono Comuni, come Locarno, che avendo istituito un asilo nido comunale spendono molto di più, ma nel complesso l’intervento comunale,
valutabile attorno al 7% è del tutto insufficiente. Ci sono anche Comuni, che fanno capo a nidi situati in comuni vicini senza
contribuire in modo significativo.
Una ripartizione ragionevole vedrebbe i tre attori: cantone, comuni e famiglie assumersi ognuno 1/3 dei costi. Ora sono invece
proprio le famiglie ad assumersi oltre il 50% della spesa e di conseguenza le rette risultano spesso molto, troppo elevate, anche
perché, in parecchi casi, non sono basate sul reddito.
Prendiamo quindi atto del fatto che quanto indicato dalla legge famiglie non raggiunge lo scopo prefissato di far contribuire i Comuni
alla gestione degli asili nido e che quindi occorre rivedere il sistema. La mozione che della commissione, già presentata ieri e
che seguirà il suo iter, costituisce un buon inizio.
Approvando le conclusioni del nostro rapporto, che ricordo è un buon compromesso, non risolviamo granché, ma lanciamo un
segnale forte al Consiglio di Stato. Occorre rivedere le modalità del finanziamento degli Asili Nido in quanto la situazione attuale
penalizza ancora una volta le fasce più deboli: madri che devono lavorare per far quadrare il bilancio famigliare e operatrici di un
settore importate, delicato e poco riconosciuto.
Invito quindi ad approvare il rapporto della Commissione delle petizioni.
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