Scuola pubblica, a dieci anni dal voto
Confronti, 16 febbraio 2011
“Proteggiamo la nostra scuola”.
Questo era l’appello sulla prima pagina del volantino con
cui, dieci anni fa, si invitava la popolazione ticinese
a votare NO all’iniziativa per un finanziamento
pubblico delle scuole private e NO
pure al controprogetto, brutta copia dell’iniziativa.
A dieci anni dallo storico voto diversi
auspici sorti sulle ali di quella vittoria sono
però andati disattesi.
Sul volantino dell’appello a votare NO
all’iniziativa per il finanziamento pubblico
delle scuole private si poteva leggere
una considerazione pienamente
valida ancora oggi: «Noi pensiamo
pertanto che l’attenzione e le risorse
dei Comuni e del Cantone debbano restare
concentrate sulla scuola pubblica
per mantenere e migliorare il
sistema scolastico pubblico, che negli
ultimi anni ha subito importanti misure
di risparmio».
L’appello al doppio NO conteneva
dunque anche l’esortazione a usare
quei milioni, che gli iniziativisti avrebbero
voluto dirottare sulle scuole private,
per rilanciare una politica di
investimento a favore della formazione
e fermare lo stillicidio di decurtazioni
subite negli anni dalla scuola
pubblica.
Allora come oggi, si chiedevano più
mense e doposcuola su tutto il territorio
cantonale allo scopo di rispondere
ai bisogni degli allievi e delle loro famiglie,
così come si chiedeva la diminuzione
del numero di allievi per
classe, il potenziamento del servizio di
sostegno pedagogico, la possibilità di
insegnamenti differenziati con l’obiettivo
di dare a tutti le medesime opportunità
di riuscita scolastica.
E già allora si chiedeva un vero riconoscimento
(e non solo pacche sulle
spalle) del ruolo dei docenti, spesso
oggetto di campagne denigratorie, per
ridare alla professione dell’insegnante
quel prestigio sociale che si andava
sempre più affievolendo.
A dieci anni dal voto che spazzò via
l’iniziativa con il 74% di NO, non si
può certo affermare che questi auspici
siano stati pienamente realizzati. Al
contrario, per compensare la perdita
di risorse finanziarie causata dalle
dissennate scelte neoliberiste degli
sgravi fiscali, la politica dei tagli è continuata
anche in ambito scolastico e
spesso il PS, in accordo con il sindacato,
è rimasto l’unico partito in Parlamento
a difendere,
anche ricorrendo
ai referendum,
la qualità
della scuola e la dignità
dei docenti.
Tra le misure adottate,
vanno ricordati
la riduzione ai
minimi termini del
monte ore e del
credito d’istituto, l’abolizione della
ginnastica correttiva, il ridimensionamento
del servizio dentario scolastico,
l’ora in più per i docenti cantonali e
parecchi trasferimenti di oneri dal
Cantone ai Comuni. Ma anche l’erosione
dello stipendio reale, come la
non compensazione integrale del rincaro
e il “contributo di solidarietà”,
misure che hanno toccato i docenti
unitamente a tutti i dipendenti pubblici.
Così il Ticino rimane al terzultimo
posto tra i cantoni nella spesa pro capite
totale per la formazione: fr. 2709,
contro un dato nazionale di fr. 3274
(dati UFS 2006).
In questo decennio sono mancate le riforme
incisive, visto che non si possono
certo considerare tali
l’unificazione amministrativa delle
scuole dell’infanzia e delle scuole elementari
(2002) o la “Riforma 3” della
scuola media (2006), attuate più che
altro all’insegna del risparmio.
L’errore dell’ASP
Molto è invece cambiato nella formazione
dei docenti: la Scuola Magistrale
cantonale, che per oltre un secolo ha
formato le maestre e i maestri delle
nostre scuole comunali, è sempre
stata oggetto di particolare attenzione
da parte del mondo politico e dell’opinione
pubblica e, non di rado, al centro
di accese controversie. L’istituto
locarnese era anche un centro di cultura,
dove hanno insegnato uomini di
grande prestigio culturale come Piero
Bianconi, Giovanni Bonalumi, Virgilio
Gilardoni e Guido Pedroli.
Nel 2002 la Magistrale è diventata
Alta Scuola Pedagogica (ASP) con il
compito di preparare anche i candidati
all’insegnamento nei settori
medio e medio superiore. Poi, per ovviare
a veri o presunti difetti dell’ASP,
nel 2009 la formazione dei docenti
delle nostre scuole è stata affidata, tramite
mandato di prestazione, al Dipartimento
Formazione e Apprendimento
(DFA) della SUPSI. Una riforma
salutata dai più, DECS in testa, con
toni entusiastici per il semplice fatto
che la formazione dei docenti veniva
“finalmente” affidata a un istituto universitario.
Pure dalla sinistra sono
giunte molte approvazioni, ma anche
parecchie riserve. Con pochi altri
avevo combattuto questa operazione
ritenendola un grave errore politico,
in quanto la Scuola Pubblica stava
perdendo una componente fondamentale.
Certo la SUPSI è pur sempre finanziata
dallo Stato, che ne detiene l’alta
vigilanza, però l’intervento statale rimane
molto limitato e, per esempio,
non si applica ai programmi né alla
scelta dei docenti.
I fatti mi stanno ora dando ragione:
oltre 30 docenti, per svariati motivi
hanno lasciato il DFA e sono stati sostituiti
da altri, provvisti di dottorato
ma poco integrati nella nostra realtà
istituzionale, culturale e territoriale.
Ma c’è di peggio: è appurato che il movimento
“Comunione e Liberazione”,
già ben radicato nell’Università della
Svizzera Italiana, sta ormai colonizzando
proprio il DFA. Un pessimo segnale
per la scuola ticinese. E il DECS
come reagisce? Sa, non sa o finge di
non sapere?
Dieci anni or sono chiedevamo di
“non fare a pezzi” una buona scuola.
Se oggi abbiamo ancora una scuola di
buona qualità, lo è soprattutto grazie
a chi ci lavora, i docenti in primo
luogo che, a seguito di scelte politiche
improntate all’indebolimento del servizio
pubblico, hanno dovuto ingoiare
parecchi bocconi amari. Ma non si
può più vivere sugli allori, pena uno
scadimento di cui si cominciano a sentire
le avvisaglie. Occorre investire di
più per l’educazione, non solo in ambito
accademico, ma soprattutto nella
scuola dell’obbligo. E l’iniziativa «Aiutiamo
le scuole comunali - per il futuro
dei nostri ragazzi», osteggiata da tutto
il centrodestra, è l’occasione ideale
per celebrare il decennale dal voto del
18 febbraio 2001.
Il ticket di Monte Carasso
Dopo la batosta del 2001 i fautori delle scuole private non
hanno certo riposto le loro ambizioni. Lo dimostra un caso
emblematico accaduto nel 2005 nel comune di Monte Carasso.
Per evitare di costituire una sezione supplementare,
il Municipio aveva offerto un “ticket” a favore delle famiglie
che avessero iscritto i figli in una scuola privata. Bisogna
dare atto al consigliere di stato Gendotti di essere riuscito
a bloccare sul nascere questa sciagurata iniziativa. Ma chi
ne era l’ispiratore? Proprio lui, Sergio Morisoli, vicesindaco
e capo dicastero scuola, ma soprattutto, autorevole esponente
del movimento “Comunione e Liberazione”, colui che
ora vorrebbe insediarsi alla testa del DECS!
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2001-2011: il PS è stato propositivo
In questi 10 anni, il partito socialista si è distinto per tutta una serie
di interventi volti a rafforzare la scuola pubblica. Molte battaglie e
anche qualche buon risultato. Vanno citate in primo luogo due iniziative
popolari.
Quella del 27 aprile 2005 «Per un fondo per la formazione ed il perfezionamento
professionale» , che osteggiata dapprima dagli ambienti
padronali e dai partiti borghesi, è stata infine approvata dal
Gran Consiglio il 18 marzo 2009. Ora è entrata in vigore e proprio
quei partiti che l’avevano combattuta se ne fanno un vanto.
La seconda
del 2 novembre 2009 denominata «Aiutiamo le scuole comunali
- per il futuro dei nostri ragazzi» è tuttora ferma davanti
alla commissione scolastica del Gran Consiglio. I dissensi
si concentrano su due elementi qualificanti dell’iniziativa:
la diminuzione del numero di allievi per classe e
l’estensione a tutto il territorio cantonale delle mense e
dei doposcuola. Il rapporto favorevole di Francesco Cavalli
per il PS è pronto; gli altri gruppi fanno ostruzionismo
con l’unico scopo di evitare il voto popolare nei
termini di legge.
Sarebbe troppo lungo elencare le iniziative
e le mozioni che il gruppo socialista ha presentato
negli ultimi anni. Esse toccano un po’ tutti gli aspetti
della nostra scuola: dalla scuola dell’infanzia all’università,
dal sostegno pedagogico alle scuole speciali, dalle
borse di studio alla formazione professionale, dalle condizioni
di lavoro degli insegnanti agli aiuti agli apprendisti,
dalla formazione dei docenti alle disparità
dell’offerta scolastica sul territorio.
Vi hanno contribuito
i diversi membri della commissione scolastica, ma in
particolare Raoul Ghisletta che, dopo una lunga militanza, lascerà il Parlamento al termine della legislatura.
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